IL
CASO DI ADRIANA, UNA BATTAGLIA PER I DIRITTI CIVILI DELLA PERSONALITA’ ,
PIU’
PRECISAMENTE PER IL DIRITTO ALL’IDENTITA’ TRANSESSUALE ANCHE NEI CIE O IN
STATO
DI RESTRIZIONE DELLA LIBERTA’ PERSONALE.
Pia Covre, presidente del comitato per i diritti delle
prostitute, chiede di diffondere on line il seguente comunicato: “Lei è
Adriana, dal 21 febbraio è trattenuta al CIE di Brindisi nel reparto
maschile.Adriana da 8 giorni ha iniziato uno sciopero della fame per essere
trasferita in un reparto femminile.Non
sfugge, come una donna trans trattenuta fra centinaia di uomini sia in costante
pericolo.Adriana è riuscita a contattare me e il MIT e ci chiede di aiutarla
nella sua legittima richiesta di essere trasferita in un reparto femminile, al
riparo da discriminazioni e violenze. Per questo motivo chiedo che Adriana
venga immediatamente trasferita in un reparto femminile, annunciando che se ciò
non avverrà, lunedì inizierò anche io uno SCIOPERO DELLA FAME. Vi prego:
condividete questa notizia, fatelo per Adriana!” (http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2017/03/18/trans-al-cie-nel-reparto-uomini_9bf846e6-52ac-447f-bdde-5c45f33bdd0e.html ). Sul sito facebook del M.I.T.,Movimento per
l’identità transessuale, impegnato da anni nella battaglia che permetta alle persone
trans, trattenute nelle carceri, nei CIE o nei centri di prima accoglienza, di
essere rispettate nella loro identità di genere, leggiamo altri particolari
della vicenda personale di Adriana. Che viene da una zona del Brasile in cui
molti trans vengono uccisi ogni anno e che ha chiesto asilo all’Italia, che,
nella situazione in cui si è trovata al Cie non ha potuto nemmeno continuare la
terapia ormonale necessaria alla sua identità di genere, in quanto in questo
paese non ci sarebbe nemmeno una regolamentazione su questi aspetti per i trans
che si trovano nei CIE o in stato di restrizione e che basterebbe addirittura
una semplice circolare ministeriale per colmare questa grave lacuna normativa
lesiva dei diritti della personalità e più specificamente all’identità sessuale
(art.2 Cost.). Sulla questione fortunatamente esiste qualche precedente
giudiziario di segno contrario a quanto avvenuto nel caso di specie presso il
Cie pugliese protagonista di questa brutta vicenda. Infatti il tribunale di
sorveglianza di Spoleto, per una trans che stava scontando la pena presso il
carcere di Terni, ha posto a carico della relativa Asl i costi per la
somministrazione della terapia ormonale a tutela del diritto del trans detenuto
all’identità di genere (http://www.umbria24.it/cronaca/%C2%ABlasl-terni-paghi-cure-ormonali-ad-trans-carcere%C2%BB-decisione-giudice). Per entrare nei particolari di
quest’altra vicenda l’articolo riferisce: “I particolari secondo
la struttura sanitaria ternana le norme non includono la «prescrivibilita’ di
ormoni sessuali femminili a soggetto maschile». La Asl non intende quindi
accollarsi le spese e le cure sono ora somministrate dal carcere ternano. Il
provvedimento risale alla meta’ del luglio scorso. Il magistrato di
sorveglianza ha ritenuto che l’integrita’ psico-fisica del transessuale venga
«garantita unicamente dalla prosecuzione delle cure ormonali già intraprese
prima della detenzione». Ha quindi evidenziato la «peculiarità della posizione
della persona detenuta rispetto al libero tanto sotto il profilo della scarsità
(per non dire assenza) di risorse economiche a disposizione» sia delle
«problematiche comportamentali anche gravi che possono derivare da una improvvisa
cessazione delle cure, tali da mettere a rischio l’ordine e la sicurezza
dell’istituto penitenziario». Il magistrato spoletino, competente anche per il
carcere di Terni, nel suo provvedimento ha fatto riferimento anche al
diritto «ad una esecuzione penale che tenda alla rieducazione». «Finalità
certamente negata – ha scritto nell’ordinanza – ove il condannato venga
costretto in una condizione che accresce la propria disforia di genere e lo fa
regredire rispetto a obiettivi in tal senso già anche in parte raggiunti prima
della detenzione». E’ stato quindi il magistrato di sorveglianza a disporre che
«in caso di qualsiasi inerzia» della Asl nel provvedere tempestivamente
all’erogazione a suo carico delle spese «sia il Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria a supplire provvisoriamente, come sta
facendo per altro da tempo rispetto alle cure ormonali necessarie per i
detenuti transessuali della casa circondariale di Belluno, e dunque in ossequio
ad un principio di pari trattamento rispetto a persone detenute in diversi
istituti penitenziari del territorio nazionale». A rivolgersi al magistrato di
sorveglianza era stato lo stesso transessuale, in carcere per scontare un
cosiddetto «cumulo» con un fine pena previsto nell’agosto del 2013. Nel suo
reclamo aveva sostenuto di «non venire adeguatamente curato» presso il carcere
di Terni, essendogli «negate le terapie ormonali» alle quali si
sottoponeva da tempo per cambiare sesso. Farmaci i cui costi «non sono alla sua
portata». Il detenuto ha inoltre fatto presente che l’interruzione delle cure
gli ha comportato «notevoli disagi psicofisici», chiedendo percio’ al
magistrato di sorveglianza di consentirgli di «fruire al più presto delle cure
di cui ha bisogno». Dopo la decisione dell’Asl di Terni di impugnare
l’ordinanza a occuparsi della vicenda sarà la Cassazione.”.La questione appare
ancor più interessante se si considera che,in questo paese, come riferisce
sempre l’articolo in questione, sarebbe previsto un reparto apposito per
ospitare i trans in ogni struttura carceraria e che, paradossalmente, l’unico
carcere,fino al 2011, che si era attrezzato in tal senso era proprio il carcere
di Terni! Come si legge sugli interventi nella pagina fb del M.I.T. si tratta
di una battaglia per la dignità, oltre che per l’identità quale primario
diritto fondamentale della personalità umana, dal momento che ai trans capita
in carcere o in altri fenomeni di istituzionalizzazione, come quello in
esame,di essere associati ai reparti maschili,dove spesso subiscono molestie o
umiliazioni o di essere discriminati,maltrattati per la loro identità di genere
diversa o infine ridotti ad una situazione di isolamento ed emarginazione,
talchè spesso la pena o l’incontro con le strutture istituzionali si tramuta
per loro in un autentico “doppio inferno” (sul punto vedasi anche l’inchiesta
del giornale Repubblica a cura di Piero Pruneddu, la situazione è nota da anni
al dicastero di giustizia e dell’interno e l’articolo di stampa risale al
28/08/2013: http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/08/28/news/sesso_trans_in_carcere_princesa_in_gabbia_di_pietro_pruneddu_smeralda_non_sa_chi_sia_fabrizio_de_andr_e_non_ha_mai_visto_-65430608/
). Poiché,come è noto, anche la Corte di Cassazione con sentenza n°15138 del 20/07/2015
e soprattutto la Corte Costituzionale con sentenza n°221 del 5/11/2015 hanno
ormai riconosciuto il diritto a poter mutare la propria identità anagrafica di
genere indipendentemente dall’effettuazione di operazioni chirurgiche (http://www.altalex.com/documents/news/2015/11/06/corte-costituzionale-rettifica-sesso), ottenendo così all’anagrafe e nei rapporti istituzionali
la rettificazione anagrafica del sesso e del nome sulla base dell’identità
sessuale che il soggetto sente come propria, anche per garantire il suo
stesso diritto alla salute che è inscindibile dal discorso psicologico
dell’egosintonicità e del rispetto da parte della società della propria dignità
personale e identità a partire dai rapporti con le istituzioni (artt.2-3-32
Cost., in termini di diritto dell’Unione europea invece si vedano gli artt.2-6
del TUE, i principi della Carta di Nizza trasposti ormai nei trattati
fondamentali o la consolidata e unanime giurisprudenza della Corte di giustizia
UE, tra cui: Corte europea dei diritti umani, Grande camera, Christine Goodwin contro Regno Unito, decisione dell’11 luglio del 2002 o Corte europea dei diritti
dell’uomo, seconda sezione, L. contro Lituania, decisione del 11 settembre
2007, più diffusamente per approfondimenti
la breve raccolta e analisi di Micaela Frulli dell’Università di
Firenze, “Corte europea dei diritti umani e tutela dell’orientamento sessuale”:
http://www.centrostudieuropei.it/jeanmonnet/wp-content/uploads/2016/02/Lezione-FRULLI-maggio-2016.pdf ),ne deriva che, indipendentemente, dalle risultanze e dalle
richieste di rettifica anagrafica l’identità di genere debba essere rispettata,
soprattutto nell’impatto istituzionale e negli stati o situazioni di privazione
della libertà personale, onde evitare che una sanzione penale ordinaria o una
situazione di attesa amministrativa finalizzata al riconoscimento del proprio
diritto di asilo o permanenza, come quello nei Cie, possa tramutarsi in un
doppio inferno e cioè esattamente in quello che la giurisprudenza o tradizione
costituzionale nordamericana finisce per definire come “cruel and inusual
punishment” o peggio che uno stato di attesa determinato dall’assenza della
cittadinanza o finalizzato a chiarire, in via puramente amministrativa,il
diritto o meno alla permanenza nel territorio dello Stato italiano possa tramutarsi,
di fatto, in una sorta di trattamento discriminatorio,inumano o comunque non
rispettoso dell’identità di genere che sarebbe comunque in contrasto financo
con l’art.27 della Costituzione ai fini rieducativi di una pena e ancor più in
stridente contrasto con le norme amministrative antimmigrazione non certo volte
ad infliggere sanzioni penali ai richiedenti asilo. Per quanto Pia Covre ci
aggiorni on line sul fatto che, grazie all’intervento dell’Avvocato Cathy La
Torre, il caso di Adriana sarebbe in via di soluzione, rimane da domandarci
quanti altri casi del genere, specie nelle carceri o peggio nei Rems che hanno
sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, si possano verificare e come
le istituzioni si rapportino a tale casistica. A parere di chi scrive è proprio
da casi del genere che abbiamo la dimostrazione che l’Italia non sia ancora né
un paese europeo né un paese civile proprio sotto l’aspetto elementare della
tutela dei diritti umani più elementari, vedasi anche vicende come quelle del
caso Cucchi e la mancata approvazione a tutt’oggi del reato di tortura che, se
fosse stato approvato, ricomprendendo anche forme di tortura
psicologica,avrebbe potuto interessare anche la tutela di Adriana. Ci
domandiamo infine se non sarebbero da sanzionare,nel caso di specie, quegli
operatori che hanno scelto di tradurre e assegnare Adriana al reparto maschile,
piuttosto che a quello femminile in assenza di un reparto apposito per i transessuali
o transgender, dal momento che la giurisprudenza di Cassazione e della Corte
Costituzionale sull’identità di genere, per la giurisprudenza UE, è parte
integrante della normativa sostanziale e quindi non potendo le istituzioni
invocare l’ignoranza della legge a giustificazione del loro operato? Ci
domandiamo se, a volte, in certi fenomeni non vi sia una punta di sottile
sadismo, oltre che un sentimento discriminatorio nei confronti del diverso o di
quella che,di fatto, è una minoranza sessuale avvertita ancora da molti, per i
propri limiti culturali, come aliena? Ci domandiamo inoltre se l’assenza di
circolari ministeriali sull’argomento, compresa la questione della
somministrazione della terapia ormonale a carico del servizio sanitario
nazionale per tutti i trans,compresi quelli nei Cie, che intendano continuare a
seguirla e che si trovino, per qualsivoglia motivo, in una situazione
amministrativa o penale di restrizione della libertà personale, non costituisca
una precisa responsabilità penale per omissione in capo ai vertici dei
dicasteri competenti,giustizia e interno, che conoscono bene da anni la
situazione (per art.328 C.P. per ragioni di sanità e giustizia o addirittura ex
art.323 aggravato ai sensi dell’ultimo comma,per la gravità dei danni
psicofisici provocati alle vittime, e per la discriminazione dei transessuali e
trans gender rispetto agli altri cittadini di diverso genere sessuale, in
quest’ultimo caso la violazione di legge o regolamento sarebbe individuabile
anzitutto nelle normative U.E. selfexecuting,compresa la giurisprudenza
pacifica della Corte di giustizia UE e della stessa sentenza della Corte
Costituzionale italiana succitata direttamente integrativa del panorama
normativo italiano)? Viene infine spontaneo domandarsi se il ministro
Guardasigilli Orlando, che da uomo di sinistra e militante di lungo corso del
Pd, dovrebbe avere particolarmente a cuore certe tematiche, potendo risolverle
con una semplice circolare, per i settori di competenza del suo dicastero,non
sia troppo impegnato nella sua campagna elettorale personale per la segreteria
del partito, per potersi occupare di fondamentali diritti umani rispetto ai
quali, per tre anni e passa di durata del suo dicastero,la soluzione conforme
al diritto europeo e alla stessa giurisprudenza italiana, sembra ancora in alto
mare… considerando anche che una delle reazioni più frequenti delle
transessuali in depressione o in stati egodistonici provocati o aggravati da
tali situazioni coatte di impatto istituzionale, già traumatiche di per sé, sono
anche i tentativi autolesionistici o di suicidio, come leggiamo nel noto testo
storico del mio Professore di medicina-legale Alvaro Marchiori: “Il
transessuale e la norma” (edizioni Aracne), questa situazione complessiva che
dura ormai da anni, tra incuria e ambiguità istituzionali, finisce anche per
ingenerare il sospetto, o quantomeno la domanda
legittima se, a volte, certe omissioni o abusi delle istituzioni ai
danni di determinate categorie di persone,non fungano,a seconda degli epiloghi
più o meno tragici dei casi concreti,anche, più o meno direttamente, da viatico,contesto
ambientale psicologico o presupposto per l’istigazione al suicidio o altro.
19 Marzo
2017. Avv.Gianfranco
Ferrari
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