L’INIZIATIVA
DEL PUBBLICO MINISTERO NELLA ESTENSIONE
DEL
FALLIMENTO,COMMENTO ALL’ART.147 DELLA
LEGGE
FALLIMENTARE
L’art.131
del D.Lgs n°5 del 9 gennaio 2006 ha modificato il testo dell’art.147 della
legge fallimentare in cui attualmente, al quarto e quinto comma si legge: “Se
dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri
soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un
creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi. Allo
stesso modo si procede qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di un
imprenditore individuale, risulti che l’impresa è riferibile ad una società di
cui il fallito è socio illimitatamente responsabile.”.Praticamente il quarto comma
consente l’estensione del fallimento ai cosiddetti “soci occulti” di una società,
mentre il quinto comma tratta del caso della “società occulta” che gestisce dietro
l’apparenza di un’impresa individuale. Diversamente dal passato in cui il tribunale
poteva attivarsi d’ufficio,in una serie di ipotesi, per l’estensione soggettiva
della procedura fallimentare, la riforma punta prevalentemente sull’imput delle
parti interessate, tra cui,anche se non espressamente menzionato, pare possa
giocare un ruolo di rilievo il P.M. Infatti la novella del 2006, sulla scorta
di alcune sentenze della Corte Costituzionale ( la n°142 del 16/07/1970 e la n°
127 del 28/05/1975), ha allargato al creditore e al fallito la possibilità di
chiedere l’estensione del fallimento, ma nulla ha detto esplicitamente sul
ruolo del P.M. D’altra parte, già prima della riforma,non erano mancate
pronunce, come quella del Tribunale di Agrigento del 16/10/2003, in Il Fall. 2004,
770, che avevano espressamente contemplato tra i soggetti legittimati all’estensione
ex art.147 L.F. tutti quelli legittimati a chiedere il fallimento, in via
principale,ai sensi dell’art.6 L.F., dunque includendo espressamente anche il
P.M. Il problema è diventato ancora più di attualità dopo la novella del 2006
che finiva per modificare lo stesso art.6 L.F. ,eliminando la previsione del tribunale
come A.G. competente a dichiarare d’ufficio, senza bisogno di imputs esterni,
il fallimento (ne procedat Iudex ex officio dunque dal 2006 anche in subiecta materia).A
seguito della riforma, peraltro,veniva abrogato anche l’art.8 L.F., che
prevedeva per il giudice civile la mera possibilità, non l’obbligo, di
segnalare al tribunale lo stato di insolvenza di un imprenditore emerso nel corso
di un giudizio, e inoltre veniva eliminata la possibilità per il tribunale, ex
art.147 L.F., di dichiarare d’ufficio il fallimento in estensione. In estrema
sintesi,alla luce della riforma estremamente garantistica sul punto,non solo il
tribunale fallimentare non può attivarsi ex officio, ma solo su impulso di
soggetti qualificati (ipotesi tassative),ma sembrerebbe financo privo della
possibilità di segnalare al Procuratore della Repubblica l’esistenza di soci
occulti o di società occulte. L’unica ipotesi residuale in cui il tribunale
potrebbe segnalare alcunché, e precisamente anche soci e società occulti al
Procuratore della Repubblica, è quella individuata dall’art.331, quarto comma,
C.P.P., cioè laddove si ravvisino estremi di ipotesi di reato (un caso
classico potrebbe essere quello della bancarotta in cui abbiano avuto un ruolo
anche i soci occulti o di una truffa attuata, ad esempio, con una società
occulta).Appare chiaro infatti che, rivestendo la sentenza dichiarativa di fallimento,
il ruolo di presupposto o comunque di elemento dei reati fallimentari e
particolarmente di quelli di bancarotta,la sua estensione ex art.147 L.F. a
socio occulto o illimitatamente responsabile rappresenta un presupposto
necessario per poter procedere nei suoi confronti per bancarotta o altri reati
fallimentari. Vediamo dunque che l’esclusione o significativa limitazione delle
iniziative officiose del tribunale ai fini della declaratoria di fallimento e
della sua estensione,passa per un recupero del ruolo di imput e controllo del
P.M., segnatamente in materia penale e di reati concorrenti alla procedura
fallimentare, laddove il tribunale, ex art.331, quarto comma, C.P.P., potrà ben
segnalare al P.M. competente per territorio (in materia fallimentare, in genere,
la Procura della Repubblica presso il tribunale competente a dichiarare la
sentenza di fallimento), la sussistenza di soci e società occulte e di ipotesi
di reato da verificare, ed, a sua volta, il P.M., ai sensi degli artt.6 L.F. e anche
in fase di estensione, potrà investire il tribunale competente ai fini della
declaratoria di fallimento,evitando così che sia il tribunale civile o
fallimentare ad investire se stesso (ne procedat Iudex ex officio, per un sintetico
elenco descrittivo del ruolo del P.M. in fase prefallimentare vedasi:
http://ilfallimentarista.it/articoli/focus/il-ruolo-del-pm-nella-fase-prefallimentare-e-la-sua-legittimazione-alla-richiesta-dei
o di Enrico Corucci “La bancarotta e i reati fallimentari”, ed. Giuffrè,2013,
pagg.255 e seguenti,circa l'andamento del mercato e l'attualità della questione in Italia: http://www.mark-up.it/fallimenti-in-calo-nel-2016-ma-chiudono-58-societa-al-giorno/).
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