Ab antiquo si diceva: “Quod non fecerunt
Barbari, fecerunt Barberini!”, era un motto che lo storico di Roma di origine
tedesca Gregorovius riporta in relazione allo spoglio di materiali marmorei e
di pregio perpetuato a varie riprese sui monumenti più importanti della Roma
antica, compreso il Colosseo, e che spesso furono riutilizzati per l’edificazione
di chiese e case patrizie da varie casate nobiliari romane tra cui parvero
eccellere appunto i Barberini. Così i danni al patrimonio monumentale romano
che non furono risparmiati dai vari sacchi di Roma, da Alarico ai Normanni fino
ai Lanzichenecchi, finirono per essere completati dalla nonchalance con cui
certi materiali venivano utilizzati anche a fini privati dalle varie casate
nobiliari romane dedite ad utilizzare il patrimonio pubblico come insieme di
risorse ad uso privato. I tempi cambiano, ma l’assenza di una linea di
discrimine tra pubblico e privato in Italia rappresenta forse l’unica linea di
continuità, così,oltre al conflitto di interessi berlusconiano, assistiamo anche
alla singolare problematica delle “guerre di successione” o delle gestioni
familistiche o nepotistiche anche dei partiti politici ovvero al fenomeno dei
cosiddetti “partiti-azienda” o partiti a gestione aziendale di cui Forza Italia
con il famoso rito della distribuzione delle valigette coi simboli e i gadgets
rappresentò forse uno dei primi esempi storici. Giusto per fare un promemoria
storico non so quanti di noi ricorderanno la polemica di qualche anno fa,
quando la Lega Nord era sulla cresta dell’onda e in cima ai consensi
elettorali, sulla laurea albanese del Trota e sulla possibile successione del
figlio di Bossi alla Leadership del partito padano? Quei tempi sembrano ormai
lontani e Renzo Bossi sembra ormai destinato ad una tranquilla carriera di
imprenditore agricolo, ma pare difficile dimenticare le polemiche interne al
partito, le accuse al cerchio magico di gestione familistica del simbolo e
anche tanto di indagine penale a Tirana sulla laurea del Trota (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/02/laurea-in-albania-renzo-bossi-indagato-a-tirana-non-ha-mai-seguito-una-lezione/797959/
). I tempi cambiano, i partiti o movimenti cambiano, ma il problema delle
gestioni familistiche e aziendali continua a segnare la storia in salita della
politica italiana. L’anno scorso muore Gian Roberto Casaleggio, fondatore e “guru”
del movimento a cinque stelle, lasciando un vuoto in termini di guida e
controllo del movimento, a fronte del quale in molti riconoscono temibili
segnali di sbandamento di quella che, a tutti gli effetti, veniva identificata
come una gestione verticistica. In questo caso non mancano roventi polemiche
sul ruolo di controllo che l’azienda Casaleggio e associati svolgerebbe sul
simbolo e le strutture, a partire dal blog, del movimento e sul passaggio del
testimone che si sarebbe pacificamente svolto dalla morte di Gian Roberto padre
al giovane erede Davide Casaleggio (http://www.polisblog.it/post/373565/chi-comanda-ora-nel-movimento-5-stelle-il-ruolo-di-davide-casaleggio)
, in un contesto in cui il ruolo del Di Maio e di altri parlamentari pentastellati
finirebbe per poter apparire di facciata o convenzionale rispetto al ruolo
aziendale. In molti, all’interno del movimento,se li interrogate sulla
questione, finiranno per rispondere che Davide Casaleggio è una figura più
preparata e matura del Trota e che ha studiato di più, ma non mi sembra questo
il fulcro del problema,anche perché, per quanto potessero premere il Trota,la
sua famiglia o il cosiddetto cerchio magico,all’epoca, al massimo Renzo Bossi
riuscì a scucire un posto come parlamentare regionale,finendo di lì a poco
travolto da scandali e polemiche e soprattutto anche da una fronda interna che
non gli consentì mai,neanche lontanamente, di avvicinarsi ad una leadership
sostanziale del partito. E allora? Sta a vedere che i leghisti sono in grado di
sorprenderci e che,almeno all’epoca, avevano una convinzione e una fede così
radicata nei valori statutari interni e nel metodo democratico che non
avrebbero mai consentito una successione di leadership politica o di controllo
del simbolo e delle strutture o comunque di ruolo sostanziale quale quella
che,pacificamente, potrebbe essersi verificata all’interno del “non-partito” e
del “non-statuto”, i quali, proprio per la loro definizione che si connota
negativamente non avrebbero avuto gli anticorpi in grado di immunizzarli da
certi fenomeni di gestione e controllo esterno aziendalistico,peraltro non
conformi alla nostra definizione costituzionale autonoma e trasparente del
concetto di partiti. I punti interrogativi sono molti, ma diventano ancor più
inquietanti alla luce delle polemiche e dell’autentica guerra ideologica
proclamata dal movimento pentastellato contro il principio costituzionale dell’assenza
di vincolo di mandato e quindi dell’assenza di controlli o indipendenza
costituzionale della funzione parlamentare (art.67 Cost.), dal momento che,nel
nostro sistema costituzionale parlamentare, ogni membro del parlamento
rappresenta direttamente la Nazione e il corpo elettorale che lo ha investito
direttamente del mandato,senza riconoscere ruoli di mediazione o controllo a
strutture aziendali o ai partiti medesimi. In una tale ottica assume anche un
ruolo strategico il cosiddetto contratto di candidatura con tanto di penale per
150.000 euro per chi dissente (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/08/elezioni-roma-2016-decalogo-ai-candidati-m5s-multa-di-150mila-euro-a-chi-dissente/2442298/)
sulla cui legittimità, a breve, pare sia chiamato a pronunciarsi anche l’Anac
che potrebbe girare il parere addirittura alla Procura della Repubblica di Roma
(http://www.ilfoglio.it/politica/2016/12/20/news/m5s-grillo-raggi-truffa-legale-sciogliere-il-movimento-5-stelle-111812/)
ovvero sul ricorso proposto dall’Avv. Venerando Monello contro tale contratto (http://www.lastampa.it/2017/01/05/italia/politica/grilloraggi-guerra-di-carte-sul-contratto-da-mila-euro-03KhAJ5pot6dAH3xrO5JpO/pagina.html
) . Il sottoscritto, tra i primi, ha evidenziato come,al di là della Costituzione
e delle cariche politiche parlamentari, tale clausola penale, se azionata in
concreto, potrebbe essere in aperto contrasto con l’art.294 del Codice penale che
testualmente definisce il concetto di attentati ai diritti politici del
cittadino e recita: “Chiunque con violenza, minaccia o
inganno impedisce in tutto o in parte l'esercizio di un diritto politico (1),
ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni.”. Il concetto poi di controllo più o meno
occulto sulla politica e su organi costituzionali, Parlamento compreso, pare
rappresentare la ratio che sottende ad una serie di interventi normativi nel
nostro ordinamento a partire dalla Legge n°17 del 1982 varata all’indomani
dello scandalo della Loggia P2 proprio per combattere e fronteggiare
determinati fenomeni di controllo esterno non meno eversivi rispetto all’idea di
golpe autoritari o comunque di esautorazione del ruolo dei membri e degli
organi costituzionali legittimi. Ragion per cui continuiamo a ribellarci ad
ogni concetto di “successione” o controllo esterno laddove in democrazia
rappresentativa l’unica investitura proviene direttamente dal voto,che per l’art.48
della Costituzione non può essere limitato o condizionato, non essendo peraltro
prevista la figura del tutore o del controllore in corso di esercizio del
mandato ed essendo, a nostro parere, illegale ogni altro modulo, compreso
quello del controllo eventuale del simbolo o delle strutture che non passi
costituzionalmente attraverso le libere forme associative dei partiti e non delle
aziende ai sensi degli artt.48 e 49 della Costituzione, differenziandosi l’azienda
dal partito anche per gli scopi di lucro a favore delle tasche di qualcuno per
l’azienda e sociali o puramente politici nel secondo caso,anche al fine di
evitare la successione aziendale nella gestione con tanto di ruolo politico,come
nelle monarchie assolute,magari solo con qualche anno in più rispetto al Trota
negli anni della ventilata successione leghista o per la presenza di una laurea
all’attivo più regolare di quella albanese.
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