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giovedì 5 gennaio 2017

LA DISPARITA’ DI TUTELA DEL SEGRETO PROFESSIONALE TRA GIORNALISTA PROFESSIONISTA E GIORNALISTA PUBBLICISTA

Al principio del dovere di testimonianza,maxime in ambito penale, salvaguardato anche dalla passibilità dei reati di falsa testimonianza in fase dibattimentale o false informazioni alla P.G. in fase di indagini preliminari (artt.372-371bis C.P. che in alcuni casi possono anche concorrere con le ipotesi di favoreggiamento), anche nella versione della cosiddetta reticenza, cioè della menzogna (le mezze coscienti verità per non dire tutto quanto è a propria conoscenza o più direttamente il vero e proprio rifiuto di deporre), corrispondono precisi limiti, di cui alcuni dettati dal principio del nemo contra se detegere e del riconoscimento dei sentimenti e legami familiari come limiti al dovere di collaborazione con la giustizia, ad esempio l’essere prossimi congiunti dell’imputato-indagato (art.199 C.P.P.), ed altri derivanti dal segreto professionale,d’ufficio o di Stato. Per alcune categorie di soggetti, come Avvocati, ministri di culto (il cosiddetto segreto professionale), impiegati del sert per i programmi di disintossicazione delle tossicodipendenze,ecc.,non esiste un obbligo di testimoniare su quanto hanno conosciuto in ragione del loro ministero,ufficio e professione ed anzi sussiste un dovere deontologico e penalmente sanzionato di tutelare il segreto professionale, onde non recare nocumento alle persone assistite a livello professionale (art.622 C.P.). Per avere una panoramica un po’ più completa l’art.384 del C.P. contempla anche una precisa causa di esclusione della punibilità, laddove stabilisce che non è punibile chi ha commesso falsa testimonianza (dunque anche reticenza) o altri delitti contro l’amministrazione della giustizia, per esservi stato costretto dalla necessità di proteggere se stesso o un prossimo congiunto da un grave pregiudizio della libertà o dell’onore e tale potrebbe essere anche il pericolo di una condanna penale in considerazione della valutazione sociale che generalmente di riconnette a tale aspetto. Il cosiddetto privilegio contro l’autoincriminazione rappresenta un corollario costituzionale del principio dell’inalienabilità del diritto di difesa e prevede che il teste o la persona informata sui fatti in fase di indagine abbiano si l’obbligo di dire la verità, ma non fino ad auto incriminarsi. Come spiegano Carlotta Conti e Paolo Tonini a pag.223 del testo “Il diritto delle prove penali”, Giuffrè editore: “Una situazione del genere non sarebbe compatibile con la Costituzione, che garantisce i diritti fondamentali dell’individuo (art.2 Cost.), tra i quali rientra anche il diritto di non incriminare se stesso senz’altro desumibile dalla proclamazione del diritto di difesa (art.24,comma 2, Cost.). Per questo motivo, il codice tutela il testimone e stabilisce che “egli non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale” (art.198, comma 2, C.P.P.).Si è dinanzi a quella che potrebbe definirsi come una tutela anticipata del diritto al silenzio. La situazione giuridica soggettiva, regolamentata dall’art.198,comma 2, può essere correttamente definita “privilegio”, con terminologia di tipo anglosassone, perché si prevede una “esenzione da un regime di tipo ordinario”, che è appunto l’obbligo di deporre. L’esenzione è prevista dalla legge in considerazione della presenza di un interesse privato ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento.”. In psicanalisi o nelle scienze biologiche e antropologiche si parlerebbe del riconoscimento da parte della procedura penale dell’insopprimibilità del cosiddetto istinto fondamentale di base all’autoconservazione, patrimonio comune del mondo biologico non solo animale, che coincide col nucleo stesso del principio di identità. La sanzione processuale più comune contro cui incorre l’inquirente o il giudicante che assume o tenta di coartare il dichiarante a rendere tali dichiarazioni contro tali principi è l’inutilizzabilità del verbale e del contenuto della deposizione estorta con l’inganno (far credere che comunque è tenuto a deporre), la forza (esempio: botte in caserma) o altri sistemi. In pratica non può essere utilizzato contro il dichiarante quanto egli ha dichiarato in qualità di teste o a s.i.t., se poteva astenersi dal dichiararlo e ha subìto ammonimenti o pressioni o se andava sentito con le garanzie dell’interrogatorio come indagato e invece è stato sentito formalmente come teste (inutilizzabilità assoluta in tale ultima ipotesi, op. cit. pag.227, su tale argomento vedi altro mio post: http://gianfrancoferrari2013.blogspot.it/2013/06/interrogatorio-o-sommarie-informazioni.html ). Se il soggetto andava avvertito della facoltà di astenersi dal rendere deposizione e il giudice o l’inquirente non lo avverte,la deposizione è affetta da nullità relativa e l’eventuale reato di falsa testimonianza o reticenza non è punibile, ciò vale anche per le dichiarazioni rilasciate avanti alla polizia giudiziaria in fase di indagine. Circa il segreto professionale l’art.200 C.P.P. distingue tra professionisti qualificati, ad esempio il prete, l’Avvocato o il giornalista, quest’ultimo sulle fonti, e i professionisti comuni. I professionisti che non rientrino tra le persone qualificate indicate dall’art.200, sono considerati alla pari degli altri testimoni  e devono rispondere secondo verità. Premesso che il privilegio del segreto professionale deve vertere strettamente sulle cose apprese a causa o comunque in occasione dell’esercizio della propria attività professionale,poiché, diversamente, vige comunque l’obbligo di testimoniare e che, qualora venga opposto il segreto professionale su alcune questioni, sta al giudice valutare ed effettuare eventualmente anche accertamenti sulla veridicità e legittimità del segreto professionale opposto, invitando comunque il professionista a rispondere quando risulti l’infondatezza o insussistenza delle ragioni addotte a tutela del segreto professionale. Il principio di tutela del segreto professionale è riguardato dal principio di tassatività-tipicità, vale a dire che risulta validamente opponibile solo dalle categorie espressamente indicate dalla legge: ad esempio, Avvocati, praticanti Avvocati,ministri di culto, investigatori privati, consulenti tecnici,Notai,medici farmacisti, ostetriche, esercenti professioni sanitarie, consulenti del lavoro, commercialisti,ragionieri,periti commerciali, assistenti sociali, operatori del sert. Sui giornalisti professionisti si parla correttamente di “segreto sulle fonti”, più che di segreto professionale tout court e, in ogni caso, l’interesse della giustizia all’accertamento dei fatti prevale su di esso, se non è possibile ricostruire gli accadimenti con altro sistema. Scrivono sempre Conti e Tonini (pag.234-235, op. cit.; “Il segreto professionale è esteso ai giornalisti con alcuni limiti. In primo luogo, esso può essere mantenuto relativamente ai “nomi delle persone” dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell’esercizio della professione.”, un parallelismo potrebbe porsi in astratto con i nomi delle cosiddette fonti confidenziali della Polizia Giudiziaria che, in genere, tendono a rimanere segreti e negli archivi di polizia (art.203 C.P.P.), salvo che non siano stati chiamati a s.i.t. o che l’A.G. ritenga comunque di sentirli e/o costoro vi consentano o siano stati comunque identificati. “In secondo luogo possono opporre questo segreto soltanto i giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale” e quindi non anche i giornalisti pubblicisti, cioè coloro che pur avendo riconosciuta tale qualità professionale la esercitino sporadicamente o non in via principale o part-time o come attività secondaria. Da ultimo “il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue informazioni, quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata soltanto attraverso  “l’identificazione della fonte della notizia.”(art.200,comma 3, C.P.P.). Da un lato, vi è la garanzia che i predetti limiti sono valutati dal “giudice”, e in tal termine personalmente non riteniamo potersi comprendere il P.M. o la P.G., ma solo il giudice,mentre “dall’altro lato, la regolamentazione è tuttavìa strutturata in modo da far prevalere  l’interesse” pubblicistico “della Giustizia sull’interesse” privatistico “del giornalista a mantenere coperta la fonte delle informazioni. Nei casi in cui il giornalista può conservare il segreto sulla fonte (ad esempio, perché la notizia non riguarda l’esistenza di un reato, ma di una sua circostanza, ad esempio furto con effrazione anziché furto semplice, la notizia stessa non è utilizzabile nel processo a causa del divieto che riguarda l’utilizzo di testimonianze indirette (art.195,comma 7, C.P.P.). Occorre infine segnalare che il segreto bancario cede di fronte all’esigenza di accertare fatti penalmente rilevanti.”.Mentre quest’ultime disposizioni appaiono ampiamente condivisibili, non così la disparità di tutela del segreto sulle fonti del giornalista professionista rispetto a quello pubblicista, se solo si pensa che in Italia abbiamo avuto grandi firme del giornalismo come Giorgio Bocca, in passato, che hanno esercitato tutta una vita la loro rispettabile professione col semplice tesserino da pubblicista, senza mai peritarsi di passare l’esame Stato o di iscriversi all’albo dei giornalisti professionisti. Si tratta di una disparità destinata ad assumere rilievo ex artt.2-3 e 21 Cost. , se solo si considera che le ragioni di tutela e riservatezza dei nomi delle fonti sono i medesimi e che anche l’attività lavorativa giornalistica e di manifestazione del pensiero sono sostanzialmente e potenzialmente identici e identiche le ragioni stesse alla base della tutela giuridica accordata. Si tratta dunque di una autentica lacuna dell’ordinamento mai sufficientemente approfondita e destinata prima o poi, a nostro modesto avviso, ad approdare alle attenzioni dei giudici a quo e della Consulta, se solo si considera che molti scoop e articoli di approfondimento passano oggi per i blog e le testate on line,ancor più che sui quotidiani della carta stampata e sulle agenzie di stampa in anteprima.








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